TFR: cos’è e come viene calcolato

Fin al lontano 1927 il nostro ordinamento giuridico ha sempre dato ampio rilievo al momento che segue la conclusione di un’attività lavorativa. Infatti, nella Gazzetta Ufficiale di quell’anno era stata pubblicata la Carta del Lavoro, documento che sanciva il diritto per i lavoratori ad un’indennità economica proporzionata secondo gli anni di impiego svolti.

Per molto tempo tale somma ha contribuito a garantire ai dipendenti un sostegno economico nel periodo che intercorre tra la fine di un rapporto lavorativo e la ricerca di una nuova occupazione.

Con il passare degli anni si è andata definendo la sua natura previdenziale e questo contributo era pagato al lavoratore come premio per la sua vita lavorativa e non più in veste di aiuto in attesa di trovare un nuovo lavoro.

Con la legge n. 297 del 1982 si è intervenuto per disciplinare la misura ed è stato introdotto quello che attualmente è conosciuto come Trattamento di Fine Rapporto (TFR).

Definizione di TFR e normative di riferimento

Il Trattamento di Fine Rapporto è una somma economica alla quale hanno diritto i lavoratori in qualsiasi caso si interrompa il rapporto di lavoro, indipendentemente da quale sia la causa della conclusione dell’impiego.

Il legislatore ha voluto assicurare tale prestazione qualora il lavoro venga a mancare non soltanto per l’arrivo dell’età pensionabile, ma anche per licenziamento o dimissioni. Quindi ciascun lavoratore matura e accumula mensilmente una parte della retribuzione che gli verrà erogata dopo la fine del rapporto lavorativo.

Come già accennato, il TFR è stato formalmente introdotto nel 1982 per sostituire quella che fino ad allora era definita Indennità di anzianità. Si è dunque intervenuti per cambiare il testo dell’articolo 2120, riformulando il metodo di calcolo dell’importo e specificando la platea che vi può accedere.

Nel tempo il legislatore ha incentivato anche lo sviluppo dei fondi pensione e in questo senso è importante ricordare il D.lgs n. 252 del 2005 che ha ristrutturato il sistema di previdenza complementare.

Chi sono i destinatari del TFR?

Nell’attuale testo dell’articolo 2120 del Codice Civile si può leggere quanto segue: “In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto a un trattamento di fine rapporto”. Ciò significa che la misura è rivolta ai lavoratori dipendenti del settore privato, mentre sono esclusi i lavoratori autonomi.

In seguito al DPCM del dicembre 1999, tale disciplina è applicabile anche ai dipendenti pubblici. Ad ogni modo ci sono dei paletti per questa categoria. Infatti, l’INPS ha specificato che il TFR è possibile per i seguenti lavoratori pubblici:

  • Dipendenti a tempo indeterminato assunti dopo il 31 dicembre 2000
  • Dipendenti a tempo determinato in corso o seguente al 30 maggio 2000 di durata minima di 15 giorni consecutivi nel mese
  • Dipendenti a tempo indeterminato assunti entro il 31 dicembre 2000 che aderiscono ad un fondo di previdenza sociale

Per tutti gli altri lavoratori pubblici è attivo il TFS, ovvero il Trattamento Fine Servizio. Il TFR viene corrisposto d’ufficio e l’erogazione potrà avvenire in un’unica soluzione oppure a rate.

Come viene calcolato il TFR

In linea con quanto prevede la normativa di riferimento, l’ammontare del TFR è calcolato andando a sommare la quota di TFR accumulata per ciascun anno lavorativo. Questa cifra deve essere uguale e non superiore alla retribuzione annua divisa per 13,5, numero scelto per convenzione indipendentemente dal fatto che i lavoratori percepiscano 12 mensilità con tredicesima o quattordicesima.

Per il calcolo dell’importo della retribuzione annua e la conseguente quota di TFR accantonata è bene specificare alcune cose. Se l’impiego ha avuto durata inferiore ad un anno, la quota dovrà essere ridotta secondo i mesi di occupazione, conteggiando comunque l’intero mese nel caso in cui la prestazione lavorativa sia stata svolta per 15 o più giorni.

Se nel corso dell’anno la prestazione è sospesa per maternità, malattia o infortunio o se c’è stata una sospensione totale o parziale per cui è prevista l’integrazione salariale, la retribuzione annua è calcolata come cifra equivalente alla quale il dipendente avrebbe avuto diritto se la sospensione non fosse avvenuta.

Inoltre, alla retribuzione annuale è necessario sottrarre lo 0,50 % che andrà a finanziare il fondo di garanzia. Facendo un esempio, se un lavoratore nel 2023 percepisce una retribuzione annua di 21.000 euro, la quota di TFR accumulata sarà composta da questo dato diviso per 13,5, cioè 21.000/13,5 che corrisponde a 1.555,55 euro.

All’ammontare annuale si deve poi sottrarre lo 0,50% da dare all’INPS e quindi sarà 21.000 euro – 0,50% = 105 euro. Infine, la quota TFR annuale deriva dalla sottrazione 1.555,55 – 105 = 1.450,55 euro.

Il TFR messo da parte per il 2023 si sommerà alle altre quote annuali accumulate nel tempo e andrà a comporre il TFR lordo al quale il dipendente avrà diritto dopo la cessazione dell’attività lavorativa.

Chi paga il TFR e quando viene erogato?

Il TFR accantonato negli anni viene corrisposto dal datore di lavoro che è obbligato in tal senso. Se poi dovesse risultare inadempiente, il dipendente può ottenere la somma dovuta attraverso il fondo di garanzia INPS, dopo avere intrapreso senso successo la via giudiziale.

Per quanto riguarda le tempistiche di erogazione, il diritto al TFR si acquisisce quando termina il rapporto di lavoro, salvo la possibilità di richiederne un anticipo. Un lasso di tempo prestabilito può essere previsto dai vari Contratti Collettivi Nazionali di Categoria (CCNL).

Tuttavia, secondo l’articolo 2948 del Codice Civile il diritto al TFR è prescritto dopo 5 anni se non si fa nulla per ottenerlo oppure in 10 anni quando il diritto è stato riconosciuto grazie a sentenza passata in giudicato.

Cos’è l’anticipo del TFR

La normativa del TFR prevede l’opportunità di chiedere un anticipo del TFR accantonato fino al momento della richiesta per alcuni dipendenti che dispongono di particolari requisiti e lì dove la domanda sia supportata da esigenze previste dalla legge.

L’articolo 2120 disciplina con i commi 6 e 11 il tema dell’anticipo e colui che presta lavoro può farne richiesta quando si ha un’anzianità di lavoro alle dipendenze del medesimo datore pari ad almeno 8 anni. L’anticipo sarà però il 70% del TFR maturato fino al giorno della domanda.

Le motivazioni che giustificano la richiesta sono legate a ragioni economiche che spingono il dipendente ad usare il TFR per affrontare spese sanitarie necessarie per interventi e terapie riconosciuti da strutture pubbliche e per acquistare ad uso abitativo la prima casa per sé o per i propri figli, tutto certificato da atto notarile.

È importante dire che l’anticipo può essere richiesto soltanto una volta e l’importo incassato sarà poi scalato dal TFR che si riceverà alla conclusione dell’attività lavorativa. Il datore di lavoro, invece, può accogliere ogni anno domande entro il limite del 10% degli aventi diritto e del 4% del totale dei dipendenti.

Azienda o fondo: dove destinare il TFR?

La riforma del 2005 ha stabilito che il dipendente entro 6 mesi dall’assunzione in azienda possa aderire o meno in forma esplicita ai fondi complementari per affidarvi il TFR. Dunque, la legge prevede che i lavoratori del settore privato possono decidere la destinazione del loro TFR in due modi diversi:

  • Con l’adesione esplicita alla previdenza complementare, il TFR viene accantonato in tale fondo;
  • Con la non adesione, il TFR viene lasciato in azienda.

Lo scopo del legislatore era quello di spingere il dipendente a compiere una scelta, tanto che nel caso non si decida esplicitamente, vale la regola del silenzio assenso. Significa che se non si sceglie entro i 6 mesi, il TFR viene destinato alla previdenza complementare decisa dal CCNL oppure al fondo di tesoreria.

La scelta sulla destinazione del TFR è evidentemente importante in quanto optare per il fondo è una soluzione irreversibile. Al contrario, se si decide di lasciarlo in azienda, in qualunque momento si può scegliere di destinarlo al fondo. Chi poi aderisce ad un fondo deve sapere che non sarà erogato alla fine del rapporto di lavoro, ma sarà attribuito solo come pensione integrativa accanto a quella normale.