Nell’ottobre 2022 sulla Gazzetta ufficiale europea è stata pubblicata la nuova direttiva sul salario minimo n. 2022/2041, la quale vuole assicurare ai lavoratori di tutta Europa condizioni di lavoro dignitose.
Il Parlamento Europeo l’ha approvata in via definitiva il 19 ottobre 2022. La direttiva propone alcuni principi indispensabili per raggiungere l’obiettivo condiviso, dando agli Stati membri la libertà di stabilire le modalità con cui realizzarli.
Dunque, lo scopo della direttiva è far si che le norme vigenti nei singoli Paesi dell’Unione permettano di avere un livello di vita dignitoso per tutti i lavoratori, riducendo al contempo le disuguaglianze.
Nello specifico, dovranno essere introdotte regole più stringenti sul salario minimo, nuovi criteri per determinare gli importi ed un sistema di controllo più attivo. Gli Stati avranno due anni per adempiere alla direttiva.
Vediamo quindi cosa prevede la direttiva europea sul salario minimo e qual è la situazione attuale in Italia su un argomento così importante.
Direttiva UE sul salario minimo: cosa prevede
Il salario minimo non è altro che la retribuzione base per i lavoratori appartenenti a diverse categorie, fissata per legge in un preciso arco di tempo. Tale importo non può essere in nessun modo ridotto dagli accordi collettivi o contratti privati.
Si tratta di una sorta di soglia limite di salario, al di sotto della quale il datore di lavoro non può scendere. Da molti anni i vari governi che si sono alternati al potere hanno trattato il tema, senza mai arrivare ad una conclusione ed ancora oggi il problema è lasciato alla contrattazione collettiva.
Sono state avanzate molte proposte di legge negli anni, ma nessuna è mai stata approvata, né è stato trovato un punto d’incontro tra le parti sociali.
Se l’Italia è rimasta indietro sull’argomento, l’Unione Europea è invece andata avanti e per rimediare a vuoti legislativi del genere, lo scorso ottobre è stata approvata e pubblicata ufficialmente la direttiva europea sul salario minimo.
Ecco quali sono i punti salienti espressi nel testo della direttiva europea.
Il salario minimo non è obbligatorio per gli Stati dell’Unione
La direttiva europea in materia di salario minimo non sarà obbligatoria in senso assoluto, ovvero non è obbligatorio il recepimento integrale nelle varie legislazioni nazionali. È previsto, infatti, soltanto un rafforzamento del diritto negli Stati in cui è già previsto il salario minimo e sarà un invito ai Paesi a favorire una discussione politica condivisa sul tema.
L’Italia è uno degli Stati membri che non hanno ancora una legislazione sul salario minimo, ma può contare su un sistema di contrattazione collettiva ben strutturato che offre garanzie alla maggior parte dei lavoratori dipendenti.
Secondo quanto dichiarato dal commissario UE per il lavoro Schmit:
“In Italia è in corso un dibattito molto forte e ampio su come rafforzare un sistema di contrattazione collettiva nel vostro paese ed eventualmente introdurre un salario minimo. Non imporremo un salario minimo politicamente, non è questo il problema. E penso che questo strumento sia un contributo a questo dibattito”.
Sfortunatamente nel nostro Paese è sempre più diffuso il fenomeno del dumping contrattuale, cioè i contratti collettivi nazionali redatti da organizzazioni poco rappresentative che non assicurano le tutele minime.
A tal proposito, la nuova direttiva europea è chiara in merito:
“Sebbene una solida contrattazione collettiva, in particolare a livello settoriale o intersettoriale, contribuisca ad assicurare una tutela garantita dal salario minimo adeguata, negli ultimi decenni le strutture tradizionali di contrattazione collettiva si sono indebolite, a causa, tra l’altro, di spostamenti strutturali dell’economia verso settori meno sindacalizzati e a causa del calo delle adesioni ai sindacati, in particolare come conseguenza di attività antisindacali e dell’aumento delle forme di lavoro precarie e atipiche. Inoltre, la contrattazione collettiva a livello settoriale e intersettoriale ha subito pressioni in alcuni Stati membri all’indomani della crisi finanziaria del 2008″.
Cosa sancisce la diretta UE sul salario minimo
La direttiva europea si fonda su alcuni elementi cardine:
- L’allargamento dell’applicabilità del salario minimo verso una più vasta platea di lavoratori;
- Nuove procedure per garantire l’adeguatezza dei salari minimi e il loro costante aggiornamento almeno ogni 2 anni (oppure 4 per gli Stati in cui vengono impiegati sistemi di indicizzazione) nei Paesi nei quali già esistono;
- Promuovere una contrattazione collettiva e spingere le parti sociali a partecipare alla definizione dei salari minimi.
A proposito di quest’ultimo punto, l’articolo 4 del testo della direttiva europea stabilisce che:
“ogni Stato membro, qualora il tasso di copertura della contrattazione collettiva sia inferiore a una soglia dell’80 %, prevede un quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva, per legge a seguito della consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime. Tale Stato membro definisce altresì un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva. Lo Stato membro definisce tale piano d’azione previa consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime o, a seguito di una richiesta congiunta delle parti sociali, come da esse concordato. […] Lo Stato membro riesamina il suo piano d’azione periodicamente, e lo aggiorna se necessario. Qualora lo Stato membro aggiorni il suo piano d’azione, ciò avviene previa consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime o, a seguito di una richiesta congiunta delle parti sociali, come da esse concordato. In ogni caso, tale piano d’azione è sottoposto a riesame almeno ogni cinque anni. Il piano d’azione e gli eventuali aggiornamenti sono resi pubblici e notificati alla Commissione”.
I criteri secondo cui fissare il salario minimo
A proposito invece dell’importo previsto per il salario minimo, l’articolo 5 della direttiva europea sancisce che nei Paesi nei quali è già in vigore debbano essere istituite le apposite procedure per stabilire ed aggiornare i salari minimi in maniera tale da concorrere alla loro adeguatezza, così da garantire livelli dignitosi di vita, abbattere la povertà lavorativa, favorire la coesione sociale e diminuire il gap retributivo di genere.
Per perseguire tali obiettivi, devono essere applicati criteri specifici che tengano conto dei seguenti fattori:
- Il potere d’acquisto dei salari minimi, con riferimento al costo della vita;
- L’ammontare generale dei salari e la loro distribuzione;
- Il tasso di aumento dei salari;
- L’andamento nazionale a lungo termine della produttività.
È comunque previsto che gli Stati membri abbiano la possibilità di usufruire di un meccanismo automatico di adeguamento dell’indicizzazione dei salari minimi che si basi su principi conformi alla prassi nazionale, a patto che questa applicazione non provochi una riduzione del salario minimo legale.
Per impostare la valutazione dell’adeguatezza dei salari minimi, la direttiva ricorda i valori indicativi solitamente impiegati a livello internazionale, come il 60% del salario lordo mediano, il 50% del salario lordo medio e i diversi valori indicativi usati in ambito nazionale.
Promuovere la contrattazione collettiva
La direttiva europea è volta ad allargare la copertura dei lavoratori mediante la contrattazione collettiva, essendo questa uno strumento utile alla determinazione dei salari a livello settoriale e intersettoriale.
I Paesi europei devono quindi fare uno sforzo per promuovere l’impegno delle parti sociale nella contrattazione collettiva e in aggiunta, è prevista anche una maggiore protezione dei rappresentanti dei lavoratori.
In particolare, l’accordo di Strasburgo siglato nel giugno 2022 e confermato nel settembre dello stesso anno stabilisce che, dove il tasso di copertura della contrattazione collettiva sia al di sotto dell’80%, gli Stati dovranno agire per incrementare tale soglia, attraverso uno specifico piano d’intervento.
Questo programma dovrà definire delle tempistiche chiare e misure ad hoc di carattere nazionale per aumentare il suddetto tasso di copertura della contrattazione collettiva e al tempo stesso avere un’applicazione più ampia dei salari minimi.
L’accesso facilitato ai salari minimi
I Paesi membri dell’Unione Europea devono applicare le politiche necessarie per agevolare l’intervento delle parti sociali nel corso del processo decisionale.
Ciò riguarda soprattutto la scelta e l’applicazione di criteri per definire il livello del salario minimo e la formula di indicizzazione automatica, gli aggiornamenti dei salari, la determinazione di trattenute e variazioni sui salari e le decisioni inerenti la raccolta di dati per informare le parti coinvolte nella definizione dei minimi salariali.
Parti sociali e governi nazionali dovranno adottare appositi interventi per rendere più facile l’accesso dei lavoratori ai salari minimi legali predisponendo ispezioni e controlli da parte di ispettorati del lavoro e organismi responsabili dell’applicazione dei salari minimi.
Raccolta dati ed obbligo di trasmissione alla Commissione Europea
Gli Stati membri dell’UE provvederanno ad implementare strumenti specifici per raccogliere dati riguardanti il rispetto del salario minimo, i quali dovranno poi essere comunicati alla Commissione Europea a cadenza biennale.
I dati da monitorare con attenzione sono:
- Il tasso di copertura della contrattazione collettiva;
- Ammontare del salario minimo;
- Percentuale di lavoratori coperti da questo salario minimo;
- Trattenute e variazioni degli importi minimi e la percentuale di lavoratori interessati da tali variazioni;
- Nell’ambito dei contratti collettivi devono essere controllate le retribuzioni più basse che riguardano i lavoratori a basso salario e il numero di persone da esse coperte;
- I salari versati ai lavoratori non coperti dai contratti collettivi e il loro rapporto con i salari versati ai lavoratori coperti da contratti collettivi.
Una volta ricevuti i dati provenienti da tutti i Paesi membri, la Commissione Europea è chiamata a valutare le informazioni pervenute e a riferire in merito ogni 2 anni al Parlamento e al Consiglio Europeo, pubblicando poi i dati inviati dai singoli Stati.
Non è possibile regredire a condizioni meno favorevoli
La direttiva UE 2022/2041 non consente la riduzione dei livelli di tutela di cui già usufruiscono i lavoratori degli Stati membri in materia di salari minimi.
Ciascuno Stato ha la facoltà di applicare oppure introdurre norme volte ad un miglioramento della disciplina generale. Ovvero, ogni Paese è libero di aumentare i salari minimi legali secondo proprie politiche attuative.
Gli Stati potranno determinare le specifiche sanzioni nei casi di violazione dei diritti e degli obblighi per quanto concerne l’applicazione della direttiva europea. Le eventuali sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.
I passi successivi alla direttiva UE
In Italia per legge sono previste le pensioni minime, ma non è invece mai stata istituita una soglia minima per i salari, tutelati soprattutto dalla contrattazione tra le parti sociali. Secondo le stime del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), il 98% dei lavoratori e il 99% delle aziende sono coperte dalla contrattazione collettiva.
A livello europeo in 21 dei 27 Stati membri sono previste delle retribuzioni salariali minime e la direttiva ha proprio lo scopo di allargare questa platea. Oltre che in Italia, il salario minimo non esiste in Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria e Cipro.
A seguito dell’approvazione della direttiva UE, i Paesi dovranno recepirne il testo entro 2 anni. Qualora uno Stato membro non ottemperasse, la Commissione ha la possibilità di avviare la procedura d’infrazione e rivolgersi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Negli ultimi anni dai partiti di sinistra sono state avanzate differenti proposte legislative sul tema, mentre i partiti di centro-destra sono sempre stati più freddi, non ritenendo necessarie nuove leggi e preferendo affidarsi alla tutela della contrattazione collettiva. Il problema del salario minimo è ancora oggi molto dibattuto e il nuovo governo Meloni avrà il prossimo biennio per adeguarsi.