Mantenimento in separazione con addebito: non spetta se non si dimostra la ricerca di lavoro

Con la sentenza n. 3354 del 10 febbraio 2025 la Corte di Cassazione si è espressa su un caso di separazione con addebito facendo chiarezza in merito all’assegno di mantenimento. Nello specifico, la Corte ha stabilito che “in applicazione del consolidato orientamento della stessa Corte le doglianze della ricorrente sono inammissibili poiché la questione della rilevante disparità delle condizioni reddituali tra i coniugi è da ritenere preclusa dall’accertamento preliminare della mancata prova dell’adeguata ricerca di lavoro tanto più che emersa la mancata accettazione di un’offerta di lavoro e la mancata allegazione dei motivi del rifiuto”.

I giudici hanno ribadito un principio cardine in tema di separazione dei coniugi ed attribuzione dell’assegno di mantenimento. Infatti, il centro della contesa non è tanto il caso concreto, quanto piuttosto il criterio giuridico per il quale, quando sussiste un’attitudine al lavoro di uno dei due coniugi, diventa determinante l’onere di dimostrare la reale impossibilità nell’avere un reddito adeguato tramite occupazione.

Tale attitudine lavorativa, intesa come capacità effettiva di eseguire un’attività retribuita, deve essere considerata valutando ogni elemento personale ed ambientale, mettendo da parte valutazioni ipotetiche o astratte. Ne deriva che il coniuge richiedente l’assegno di mantenimento non può semplicemente far valere lo stato di disoccupazione o disparità di reddito rispetto all’altro, ma ha l’onere di dare prova di avere tentato di trovare un’occupazione adeguata alle proprie attitudini professionali e di non essere riuscito nell’intento nonostante un’attenta ricerca.

Questa interpretazione si basa su due considerazioni di carattere sostanziale e processuale. L’articolo 156 c.c. esprime un dovere solidaristico tra ex coniugi, ma non può essere applicato al punto tale di compensare del tutto l’inerzia di colui che sarebbe capace di lavorare. D’altro canto, secondo la regola generale per la quale ogni parte deve dare prova dei fatti su cui si basa la propria domanda (art. 115 e 116 c.p.c.), è necessario che la persona richiedente l’assegno di mantenimento dimostri di avere inoltrato curricula, affrontato colloqui di lavoro o per lo meno che abbia fatto di tutto per trovare un impiego.

La Cassazione rafforza dunque la linea giurisprudenziale per la quale il sostegno economico dopo la separazione è riconosciuto legittimamente se vi sia reale necessità derivante dall’impossibilità di mantenersi da soli. Se però si evince che il coniuge che ha fatto domanda di assegno di mantenimento ha rifiutato volontariamente offerte di lavoro o non ha dato prova delle ragioni per un eventuale rifiuto, decade il presupposto che giustifica l’assegno.

In tal senso la pronuncia della Cassazione conferma che il giudice non deve fondarsi su ipotesi astratte, ma appunto su un’analisi precisa di circostanze concrete, come età, salute, esperienza professionale, posizioni lavorative disponibili e ambito territoriale. La sentenza si va quindi ad inserire in un quadro consolidato, tracciando un nuovo passo verso una puntuale applicazione del principio di autoresponsabilità economica tra gli ex coniugi.

Ciò significa che se la mancanza di reddito è causata da poca iniziativa o da rifiuto immotivato di proposte di impiego adeguate, la richiesta di assegno di mantenimento sarà respinta. Tale orientamento giuridico conferma la direzione intrapresa che considera il mantenimento uno strumento di solidarietà dopo lo scioglimento del matrimonio, ma allo stesso tempo pretende che questa solidarietà sia fondata su una vera condizione di bisogno. Dunque, l’assegno di mantenimento non può andare a coprire quello che il richiedente potrebbe ottenere da solo se fosse idoneo al lavoro e in mancanza di ostacoli personali o ambientali insormontabili.