Una recente sentenza emessa dalla Corte di Cassazione ha affermato alcuni punti cardine per quanto riguardo il contenzioso del lavoro in tema di demansionamento del dipendente. Infatti, la Suprema Corte ha stabilito che per avere diritto ad un inquadramento migliore con relative differenze di retribuzione deve sussistere un accertamento preciso delle mansioni specifiche svolte dal lavoratore. Inoltre, l’attribuzione delle indennità contrattuali non deve avvenire in forma automatica, ma è necessaria la prova dei presupposti specifici. Dunque, il demansionamento non comporta obbligatoriamente un diritto al risarcimento in quanto è richiesta la prova concreta del pregiudizio patito dal dipendente.
Il caso portato all’attenzione della Cassazione
Un’azienda attiva in campo edile era stata condannata in appello a risarcire una dipendente per le differenze retributive inerenti all’esecuzione di mansioni di responsabile di un cantiere di restauro, risultate superiori rispetto a quelle dell’inquadramento previsto. Alla lavoratrice ricorsa in appello era stato anche riconosciuto il risarcimento del danno da demansionamento per essere stata poi assegnata alle mansioni di restauratrice di beni culturali, cosa che l’aveva spinta a rassegnare le dimissioni per giusta causa dopo due mesi.
La Corte d’Appello di Roma aveva quindi condannato la società a pagare 38.041,40 euro per le differenze retributive causate dal non riconoscimento del livello VI del CCNL Edilizia e 7.487,32 euro come risarcimento del danno da demansionamento verificatosi tra il 7 novembre 2014 e le dimissioni per giusta causa a gennaio 2015.
L’impresa ha deciso così di impugnare la sentenza di secondo grado per diverse ragioni, alcune delle quali accolte dalla Corte di Cassazione. Nello specifico, la Corte ha deciso di accogliere il motivo di impugnazione con il quale l’azienda aveva contestato il risarcimento del danno da demansionamento senza prova del suddetto danno. Infatti, non erano stati indicati i dati di fatto idonei a far presupporre il pregiudizio subito dalla lavoratrice.
Su tale punto la Suprema Corte ha sancito che l’assegnazione di mansioni inferiori è di certo un evento potenzialmente capace di produrre diverse conseguenze dannose, di origine patrimoniale e non, come la perdita di professionalità intesa come mancata acquisizione di ulteriori competenze e perdita di occasioni di guadagno.
Ad ogni modo, i Supremi giudici hanno specificato che dall’inadempimento del datore di lavoro non si produce automaticamente l’esistenza di un danno, non essendo quest’ultimo evidente soltanto dalla potenzialità dannosa del fatto illegittimo. Dunque, è indispensabile che il giudice di merito specifichi gli elementi di fatto secondo i quali sia provata l’esistenza del danno.
Nel caso in questione, invece, la precedente sentenza impugnata aveva soltanto quantificato in maniera generica il risarcimento in una quota della retribuzione, senza evidenziare le circostanze particolari che avevano provocato il convincimento dell’esistenza di un danno alla professionalità per l’attribuzione di mansioni originarie per poco più di due mesi.
In aggiunta, è stato accolto anche il motivo inerente al riconoscimento dell’indennità di mancato preavviso nei casi di dimissioni per giusta causa. Questo perché il giudice d’appello non aveva motivato adeguatamente l’esistenza di una giusta causa, ovvero non aveva definito chiaramente per quale ragione il demansionamento fosse tale da provocare la fine del rapporto di lavoro.
In conclusione, la sentenza è stata cassata con rinvio, appellandosi ad un principio di diritto già sancito dalla Cassazione in altre pronunce, secondo cui il danno causato da demansionamento e dequalificazione non si produce in modo automatico in tutte le situazioni di inadempimento datoriale.
Ciò significa che il danno deve essere provato dal dipendente anche mediante la presentazione di elementi precisi e concordanti, come la quantità di esperienza pregressa, la professionalità colpita, la diversa collocazione lavorativa seguente alla dequalificazione e la durata del demansionamento.