Il contratto di lavoro intermittente, detto anche a chiamata, è una tipologia di rapporto lavorativo caratterizzata dal fatto che il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro, il quale può usufruire della prestazione lavorativa in maniera discontinua o intermittente, in accordo con le esigenze stabilite dai contratti collettivi.
Ciò significa che l’imprenditore si rivolge al lavoratore solo quando ha bisogno che una specifica attività venga eseguita. Ecco come funzionano i contratti di lavoro intermittente e quali sono le loro peculiarità.
Disciplina e presupposti del lavoro intermittente
Il lavoro intermittente è una categoria di contratto lavorativo che affonda le proprie radici nel lontano 2001, quando la squadra di tecnici del Ministero del Lavoro, con l’ausilio di Marco Biagi, pubblicò il “Libro Bianco sul Mercato del Lavoro in Italia”, nel quale si contestava la mancanza di una forma di lavoro agile e a chiamata rispetto alle necessità non continuative delle aziende.
I giuslavoristi come Biagi avanzarono la proposta di un rapporto di lavoro che garantisse alle società un’indennità di disponibilità assicurata a fronte della garanzia di reperibilità data al datore di lavoro.
La legge delega n. 30/2003 prevedeva l’introduzione del lavoro a chiamata, riconoscendo un’indennità di disponibilità e lasciando ai CCNL l’incarico di definire le mansioni discontinue alle quali applicare la nuova forma atipica di lavoro.
Questo nuovo istituto avrebbe dovuto essere accessibile per i lavoratori che avevano difficoltà nell’inserirsi nel mondo del lavoro o per mancanza di esperienza (under 25) o per l’uscita dal ciclo produttivo (over 45).
La legge delega chiariva poi che l’obbligo di risposta a chiamata non sarebbe stata la sola possibilità, in quanto poteva profilarsi l’eventualità di contratto intermittente senza obbligo di risposta e dunque senza che il datore di lavoro fosse tenuto a corrispondere l’indennità di disponibilità.
Il successivo decreto legislativo n. 81/2015 che attuava il Jobs Actconfermava la disciplina vigente e specificava che il lavoro intermittente o job on call poteva essere sia a tempo determinato che indeterminato. La forma consigliata per il contratto del lavoratore intermittente è quella scritta, soprattutto considerando il bisogno di definire le modalità di dialogo e convocazione per la prestazione lavorativa.
Invece il nuovo articolo 13 sanciva in quali casi questo tipo di contratto poteva essere legittimamente utilizzato: ovvero per i lavori intermittenti nei quali l’opera dei dipendenti non è necessaria in maniera continuativa, ma con periodi di intermittenza.
Quando è possibile utilizzare il lavoro intermittente
Il lavoro intermittente o a chiamata è un rapporto di lavoro subordinato contraddistinto da una certa flessibilità. Come già detto, il lavoratore mette a disposizione del datore la propria prestazione lavorativa con frequenza intermittente.
Quindi l’attività svolta si caratterizza per la sua discontinuità nell’esercizio delle funzioni previste. Ciò vuole dire che il lavoratore a chiamata può essere richiesto solo all’occorrenza, cioè in particolari momenti dell’anno, come periodo estivo o picchi di produzione.
Inoltre, si distingue dalle forme di lavoro part-time o a tempo pieno per la durata e la frequenza della prestazione che non sono determinabili all’inizio del rapporto di lavoro in quanto legate alle esigenze aziendali.
Ciò non impedisce che possano esserci dei periodi predeterminati durante una settimana, un mese o un anno.
Il datore di lavoro potrà rivolgersi a questa categoria contrattuale se:
- I lavoratori hanno dai 24 anni in giù;
- I lavoratori hanno più di 55 anni;
- In alternativa ai suddetti criteri soggettivi introdotti dalla Legge Fornero, il datore deve verificare se il contratto collettivo applicato preveda l’esplicita previsione di mansioni compatibili con il lavoro intermittente.
Attualmente ci sono moltissimi ambiti che hanno disciplinato appositi profili professionali per il lavoro intermittente. Di seguito vi indichiamo i principali settori contrattuali:
- Industria alimentare: lavoratori over 45 senza occupazione;
- Centri elaborazione dati: uscieri, inservienti, fattorini autorizzati alla guida di autoveicoli/motocicli;
- Commercio: addetti al marketing operativo;
- Studi professionali: incarichi nell’area professionale economica-amministrativa, archiviazione documenti per le varie aree professionali e informatizzazione di sistema e documenti per tutte le aree professionali;
- Turismo: personale di sorveglianza, addetti a centralini telefonici, fattorini;
- Vigilanza: incarichi per periodi determinati quali week-end (dalle 13:00 del venerdì alle 6:00 del mattino di lunedì), vacanze natalizie (1° dicembre a 10 gennaio), vacanze di Pasqua (dalla Domenica delle Palme al martedì dopo il Lunedì dell’Angelo), periodo estivo (dal 1° giugno al 30 settembre).
Quando non è possibile utilizzare il lavoro intermittente
Nell’articolo 14 del testo unico del Jobs Act sono elencate le situazioni nelle quali non si può ricorrere al lavoro intermittente:
- Per sostituire i lavoratori che stanno esercitando il diritto allo sciopero;
- Presso gli ambienti produttivi nei quali sono stati eseguiti, nei 6 mesi precedenti, licenziamenti collettivi che riguardavano i lavoratori coinvolti nelle stesse mansioni a cui si riferisce il contratto intermittente o se è in atto la CIG per questi dipendenti;
- Per i datori di lavoro che non hanno eseguito la valutazione dei rischi ex articolo 28 decreto legislativo n. 81/2015.
Se il datore di lavoro sottoscrive comunque il contratto di lavoro intermittente, violando uno di tali divieti, secondo l’articolo n. 1419 del c.c., il rapporto lavorativo verrà automaticamente trasformato nella forma tipica di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato, come chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione Civile con la sentenza n. 5241 dell’8 marzo/2012.
Contratto, adempimenti e limiti del lavoro intermittente
L’articolo 15 del decreto legislativo n. 81/2015 elenca i 6 elementi indispensabili per sottoscrivere un contratto di lavoro intermittente:
- Durata e condizioni (anagrafiche/mansioni) che permettono la stipula del contratto secondo l’articolo 13 del decreto legislativo n. 81/2015 o del CCNL;
- Luogo di lavoro e modalità della disponibilità del lavoratore e specifiche del preavviso di chiamata che non può essere al di sotto del giorno lavorativo;
- Retribuzione ed eventuale indennità di disponibilità;
- Modalità di richiesta della prestazione lavorativa da parte del datore;
- Tempistiche e modalità di pagamento della retribuzione;
- Misure di sicurezza sul lavoro relative alla tipologia di attività eseguita.
Il D.L. n. 76/2013 ha poi aggiunto un limite di tempo nell’utilizzo del contratto di lavoro intermittente. L’articolo 13 del testo dice: “In ogni caso, con l’eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore a quattrocento giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari. In caso di superamento del predetto periodo il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato”.
Indennità di disponibilità e straordinari
Per quanto riguarda l’aspetto retributivo, il lavoro intermittente si basa su uno schema orario con applicazione dei minimi salariali sanciti dal CCNL utilizzato dal datore di lavoro.
È bene specificare che nei periodi nei quali non si usufruisce della prestazione di lavoro, il lavoratore intermittente non andrà a maturare nessun trattamento economico, esclusa l’eventuale indennità di disponibilità.
Quest’ultima sussiste nei casi in cui il datore chieda al dipendente l’obbligo di risposta alla propria chiamata. Tale obbligo viene meno solamente per malattia o un evento imprevisto che renda temporaneamente indisponibile il lavoratore che avrà l’onere di darne notizia, specificando la durata dell’impedimento. In questo periodo ovviamente non maturerà il diritto all’indennità di disponibilità.
A proposito poi degli straordinari, la maggiorazione è prevista anche per i lavoratori a chiamata. Si deve però considerare che in caso di chiamata di domenica o nei giorni festivi, il lavoratore dovrà ricevere la maggiorazione per lavoro festivo poiché bisognerà compensare il dipendente per il disagio causato in giorni che solitamente sono dedicati al riposo e alla famiglia.
NASpI, TFR e permessi
I lavoratori con contratto di lavoro intermittente possono anche percepire la NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego). Infatti, l’ordinamento giuridico italiano vuole assicurare sussidi a tutti i lavoratori in condizioni economiche precarie.
Un contratto di lavoro a chiamata non assicura una certa stabilità lavorativa ed è per questo che è compatibile con la NASpI. Per disporre di tale indennizzo, bisogna comunicare all’INPS, entro un mese dalla domanda di NASpI, quale sarà l’ipotetico reddito derivante dalla collaborazione a chiamata nel corso dell’anno.
L’importo complessivo non deve eccedere gli 8.000 euro annui. In caso contrario si perderà il diritto alla NASpI. Trasmesse le date all’INPS, sarà l’ente previdenziale a compensare le differenze tra giorni di lavoro e giorni di NASpI spettanti.
Come gli altri tipi di contratto, il lavoro intermittente dà poi diritto a maturare il TFR (Trattamento di Fine Rapporto), il quale sarà erogato alla fine della prestazione lavorativa in misura corrispondente all’effettivo lavoro svolto.
Allo stesso modo permessi, ferie e ROL matureranno secondo le ore di lavoro e saranno inseriti nel cedolino paga della persona.
Il lavoro intermittente e le novità previste dal Decreto Trasparenza
I datori di lavoro hanno l’obbligo di fornire ai lavoratori il modello UniLav, nel quale devono essere inserite specifiche informazioni come:
- Stipula del rapporto di lavoro;
- Proroga del rapporto di lavoro;
- Trasformazione del rapporto di lavoro;
- Trasferimento del dipendente;
- Cessazione del rapporto di lavoro;
Il modello UniLav si compone di 8 sezioni, denominate quadri. Nel primo quadro, chiamato Inizio, devono essere indicate le informazioni identificative del rapporto di lavoro che si instaura.
Al di là di questo documento, dal 2012 (Legge Fornero) il datore di lavoro che si avvale di contratti intermittenti deve anche dare al lavoratore una comunicazione obbligatoria con tutti i dettagli relativi al contratto che si sta sottoscrivendo.
L’onere informativo scatta prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di una serie di prestazioni che possono durare al massimo 30 giorni. La comunicazione in forma scritta deve quindi essere consegnata prima che l’attività di lavoro sia effettivamente cominciata e può essere modificata oppure annullata entro 48 ore se il lavoratore non si presenta.
Il decreto legislativo n. 104/2022, conosciuto come Decreto Trasparenza, ha in parte modificato la normativa vigente in materia di comunicazioni ai lavoratori sulle modalità e condizioni delle prestazioni di lavoro, inserendo ulteriori obblighi per i datori.
Per quel che concerne il contratto di lavoro intermittente, l’informativa da presentare al lavoratore dovrebbe contenere le fasce orarie ed i giorni prefissati nei quali il dipendente dovrà svolgere le sue attività lavorative.
Su tale punto il Decreto Trasparenza ha introdotto la novità per cui nel contratto potrà esserci un preavviso di chiamata anche inferiore al giorno lavorativo, termine minimo obbligatorio secondo l’articolo 15 del precedente decreto legislativo n. 81/2015.
Infine, l’aggiornamento della normativa sottolinea che l’indicazione delle fasce orarie e dei giorni di lavoro non è obbligatoria, ma possibile, se c’è accordo tra le parti. In tal caso, gli orari prestabiliti devono essere espressamente citati nel contratto.