Con la legge n. 49 del 21 aprile 2023 è stata revisionata la normativa riguardante il tema dell’equo compenso delle prestazioni professionali. Per chi non lo sapesse, l’equo compenso è il principio per il quale la remunerazione corrisposta ad un professionista per un certo servizio debba essere proporzionata alla qualità e quantità del lavoro eseguito.
La nuova disciplina è entrata in vigore ufficialmente lo scorso 20 maggio con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ed ha l’obiettivo di rinforzare la tutela verso i professionisti nei confronti delle imprese considerate contraenti “forti” e capaci di delineare uno squilibrio nel rapporto con il professionista. Proviamo ad approfondire il tema dell’equo compenso, a chi si rivolge e quali sono le principali novità previste dall’attuale normativa.
Cos’è l’equo compenso e a chi è rivolto
Per equo compenso si intende la retribuzione minima che un professionista dovrebbe percepire in accordo con la qualità e la quantità di lavoro svolta. In precedenza, era riservato esclusivamente agli avvocati, ma dal 2017 tale disciplina è stata estesa anche ad altre categorie lavorative autonome, come i commercialisti, i consulenti del lavoro, gli psicologi, i medici e gli architetti, che siano iscritti o meno ad un albo professionale.
Il principio dell’equo compenso è stato approvato la prima volta in Italia con il Decreto-legge n. 148 del 2017, poi modificato dalla Legge di Bilancio 2018. Dal 2021 il Parlamento italiano ha cominciato una revisione della normativa vigente aggiungendo diverse novità resesi necessarie per l’entrata in vigore della Riforma Cartabia.
Prima della riforma del 2023 l’equo compenso era valido soltanto per i rapporti professionali gestiti da convenzioni che coinvolgevano banche e imprese assicurative. Con la nuova normativa, invece, l’equo compenso è stato esteso ai rapporti di lavoro che coinvolgono imprese che nell’anno antecedente l’assegnazione dell’incarico hanno dato lavoro a più di 50 dipendenti o che hanno fatturato più di un milione di euro nell’anno precedente.
Sono vincolate all’equo compenso per i professionisti anche le prestazioni svolte a favore delle Pubbliche Amministrazioni o società a partecipazione pubblica. Sono invece escluse le società veicolo di cartolarizzazione e gli agenti della riscossione.
Come agisce l’equo compenso per i professionisti
Secondo la legge per l’equo compenso esiste una soglia minima da rispettare al di sotto della quale un professionista non può essere retribuito per una certa prestazione lavorativa. Con riferimento a tale limite, esistono delle regole precise da rispettare quando un professionista e un cliente decidono di sottoscrivere un contratto.
Per cominciare, è necessario accertare che non sussistano nel contratto delle clausole vessatorie, ovvero delle disposizioni che producono uno squilibrio a sfavore di una delle parti in causa e provocano la non equità del compenso pattuito.
Possono considerarsi vessatorie e dunque causa di nullità del contratto, le clausole che:
- Non includono un compenso equo e in linea con l’attività prestata;
- Proibiscono al professionista di chiedere acconti durante la prestazione e lo obbligano ad anticipare le spese;
- Riconoscono una retribuzione inferiore agli importi minimi previsti per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti a ordini e collegi;
- Assegnano al committente del lavoro vantaggi non proporzionati alla qualità e quantità del lavoro.
In tutti questi casi la normativa ha specificato che le clausole sono nulle. Tale nullità però non riguarda l’intero contratto, agisce solo a vantaggio del professionista e può essere anche rilevata d’ufficio.
Cosa succede se non si rispetta l’equo compenso
Che cosa accade se un professionista non viene pagato secondo i parametri stabiliti dall’equo compenso? Con la precedente normativa i professionisti potevano rivolgersi al giudice del tribunale ordinario per affermare il proprio diritto.
La nuova normativa sull’equo compenso ha però aggiunto nuove tutele:
- Nell’eventualità di clausole vessatorie è possibile appellarsi al giudice ordinario che può dichiarare nulle tali clausole e definire il compenso dovuto al professionista. In tal caso il committente del lavoro è condannato a pagare la differenza tra l’equo compenso e ciò che è già stato corrisposto. Il giudice però può anche condannare al pagamento di un indennizzo quale risarcimento del danno;
- Si può agire con una class action proposta dal Consiglio nazionale del proprio ordine di appartenenza. Ad ogni modo, il professionista ha anche la facoltà di agire in forma individuale;
- L’ordine professionale ha la possibilità di esprimere un parere di congruità sul compenso. Questo parere avrà l’efficacia di titolo esecutivo per i professionisti e quindi varrà come documento che attesta il diritto del creditore. Dunque, secondo quel parere si può avviare l’esecuzione forzata.
L’osservatorio sull’equo compenso
La nuova normativa recentemente approvata ha anche previsto la creazione di un organismo di monitoraggio, denominato Osservatorio Nazionale sull’Equo Compenso. Tale ente avrà i seguenti obiettivi:
- Opera di controllo sul rispetto della legge, esprimendo pareri e formulando proposte sugli atti che intervengono sulle regole di determinazione dell’equo compenso;
- Indicare al Ministero della Giustizia la presenza di pratiche elusive delle disposizioni in materia;
- Inviare alle Camere una relazione annuale sull’attività di vigilanza condotta;
L’osservatorio sarà nominato per 3 anni tramite decreto ministeriale e deve essere formato da:
- Un rappresentante indicato dal Ministero del Lavoro;
- Un rappresentante per ognuno dei Consigli Nazionali dei vari ordini professionali;
- 2 rappresentanti nominati dal Ministero dello Sviluppo Economico tra le diverse associazioni professionali.