Danni da fumo: per la Cassazione i produttori di tabacco sono tenuti al risarcimento

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riscritto le regole inerenti alla responsabilità civile per i danni causati dal fumo, modificando l’orientamento giuridico che per decenni ha tutelato le grandi multinazionali produttrici di tabacco. Infatti, con l’ordinanza n. 21464 del 25 luglio 2025 la Corte ha affermato che la libera decisione del consumatore di fumare non basta ad escludere l’obbligo di risarcire da parte delle aziende. La produzione e vendita di tabacco viene dunque definita come attività pericolosa, sovvertendo l’onere della prova e aprendo la strada a nuovi scenari per le vittime del fumo e i loro familiari.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha cancellato le sentenze di primo e secondo grado che in precedenza avevano negato il risarcimento ai parenti di un uomo morto a causa di un cancro ai polmoni dopo avere fumato due pacchetti di sigarette al giorno per 45 anni. I giudici avevano rifiutato le richieste, addebitando la colpa al consumatore, secondo il principio per cui la nocività del fumo era cosa ben nota dagli anni Sessanta. Al contrario, la Suprema Corte ha abolito questo impianto, affermando che l’attività produttiva dell’industria del tabacco non può essere ritenuta un semplice antefatto occasionale del danno, ma deve essere considerata come causa diretta dello stesso.

Questo elemento è il centro della decisione: per i giudici non si possono addossare le conseguenze negative del fumo soltanto alla vittima. Dunque, la Cassazione con questa sentenza ha stabilito due principi innovativi. Il primo è che se la dannosità delle sigarette era già nota, anche i produttori avevano il dovere di assumere condotte prudenti ed obblighi informativi più stringenti per dissuadere i fumatori dalla pratica. Il secondo principio è che non basta più una generica coscienza del rischio per eliminare la responsabilità delle imprese del tabacco.

Bisogna accertare se il fumatore nei decenni antecedenti avesse una reale percezione e consapevolezza del potenziale rischio di cancro. A questo proposito, la Corte ha ricordato come le principali misure legislative contro il fumo in Italia siano state approvate solo nel 2003, mettendo in dubbio la presunta conoscenza del pericolo negli anni precedenti.

Altro elemento giuridico a cambiare le carte in tavola è la definizione della produzione e commercializzazione di tabacco come un’attività pericolosa. Tale classificazione prevede l’applicazione dell’art. 2050 del Codice Civile, il quale prevede la responsabilità aggravata. Infatti, il soggetto che si macchia di un’attività pericolosa è ritenuto responsabile per i danni derivanti, a meno che non riesca a fornire prove liberatorie rigorose. Quindi la semplice scelta del fumatore non annulla il nesso causale e non basta a sollevare l’azienda produttrice dalle proprie responsabilità.

Le implicazioni per eventuali futuri contenziosi

La sentenza definisce dunque criteri più rigorosi per la valutazione della responsabilità delle società produttrici nei processi per risarcimento per i danni causati dal fumo. Le conseguenze della pronuncia sono ovviamente di portata storica in quanto l’onere della prova si inverte per i produttori di sigarette. Sono questi ultimi a dover dimostrare di avere assunto tutte le misure necessarie per impedire il danno e non più la vittima. Come si evince facilmente, si tratta di una prova molto difficile da fornire e la sentenza oggi rappresenta un passo importante nell’equilibrio tra libertà individuale e responsabilità d’impresa. Per le vittime e i loro familiari si apre una strada più agevole verso il risarcimento, mentre per i professionisti e i cittadini la sentenza sottolinea l’importanza di una corretta informazione sui rischi legati al fumo e il bisogno di una valutazione precisa sulle circostanze informative e temporali in ogni caso specifico.