La PEC (Posta Elettronica Certificata) è sufficiente per dimostrare l’invio e ricezione di un messaggio, ma non è in grado di garantire il contenuto del documento allegato all’interno. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 10091 del 15 aprile 2024.
Infatti, la posta certificata attesta la provenienza della mail, la data e orario di invio e il contenuto, ma limitatamente al messaggio stesso, non al file ad essa allegato. Vediamo il caso portato all’esame della Corte e come si è arrivati alla sentenza.
Cos’è la PEC?
La sigla PEC sta per Posta Elettronica Certificata e si tratta di una particolare tipologia di posta elettronica che consente di dare al contenuto del messaggio il medesimo valore legale di una raccomandata con avviso di ricevimento, assicurando il tal modo la prova dell’invio e della consegna.
L’indirizzo PEC di professionisti e imprese può essere rintracciato in maniera gratuita consultando il registro pubblico INI-PEC. Da giugno 2024 alla PEC si andrà a sostituire la cosiddetta REM (Registered Electronic Mail), lo standard europeo che si basa sull’identificazione a due fattori e la certificazione dell’identità di mittente e destinatario attraverso SPID o CIE.
La causa portata in Cassazione
Con il decreto del 2 ottobre 2018, il tribunale di Cagliari ha rigettato l’opposizione ex articolo 98 legge fallimentare avanzata dalla Gieffe Srl contro il decreto con cui il Giudice Delegato del fallimento Bricosarda Srl aveva rifiutato la sua richiesta di insinuazione del credito di 231.540,70 euro, richiesto per i canoni di affitto di azienda di cui al contratto redatto tra le parti.
Il tribunale ha approvato l’impostazione del Giudice Delegato, considerando il contratto d’affitto in oggetto non opponibile alla procedura poiché privo di una data certa.
Nello specifico, è stato osservato che, pur potendo definire un elemento di prova della data certa la PEC con cui la società I Gabbiani (fusa in Gieffe Srl) aveva sollecitato il pagamento dei canoni insoluti, questo documento non era fornito di data certa in quanto sussisteva soltanto la prova che in quella data la ricorrente aveva inoltrato la PEC a Bricosarda, ma non anche il documento allegato.
In altre parole, il tribunale di Cagliari ha stabilito che l’opponente avrebbe dovuto replicare il documento in formato elettronico, così da poter verificare se allegata fosse presente la comunicazione prodotta. Contro il decreto la Gieffe Srl ha avanzato ricorso per Cassazione.
La decisione della Cassazione
Nell’ordinanza n. 10091 del 15 aprile 2024 la Sezione Prima civile della Cassazione ha confermato la linea giurisprudenziale definita nelle precedenti decisioni, ma ha sancito il principio per il quale la PEC attesta l’invio e la ricezione del messaggio, ma non assicura il contenuto del documento in allegato alla stessa.
La Corte ha affermato che, nonostante la PEC certifichi data, ora e formato di invio del messaggio, i dettagli non riescono a garantire l’integrità o autenticità dei file trasmessi con l’e-mail. Per esempio, un file allegato potrebbe contenere false informazioni oppure provenire da terze parti.
In tali casi, la certificazione della PEC non verifica o conferma la pertinenza del contenuto del documento in allegato. L’autenticità dei documenti è garantita dall’uso della firma digitale che è in grado di accertare la provenienza del documento e la sua integrità, rafforzando la validità legale del file in caso di opponibilità a terzi.
I giudici della Cassazione hanno anche voluto specificare che la menzione di un documento in un altro non attribuisce in maniera automatica allo stesso documento una data precisa, se non è fornita una contestuale prova della sua integrità. Tale principio è basilare nei casi in cui documenti importanti sono menzionati in altri atti senza però essere allegati o verificati.