Buoni pasto: vantaggi e tassazione prevista nel 2024

I buoni pasti sono uno dei benefit più diffusi ed apprezzati da parte dei lavoratori. Perfetti per rispondere alle esigenze alimentari durante la pausa pranzo, possono essere impiegati anche per comprare bevande e generi alimentati nei negozi e supermercati convenzionati.

Non sono soltanto comodi da usare, ma assicurano anche agevolazioni fiscali, sia ai dipendenti che alle aziende. Soprattutto i lavoratori hanno la possibilità di migliorare lo stile di vita e il potere d’acquisto, senza pagare contributi o tasse in più. Tutto quello che riguarda i buoni pasto è comunque regolamentato da particolari normative che definiscono metodi di erogazione e requisiti di accesso.

Cosa sono i buoni pasto

I buoni pasto non sono altro che documenti in formato elettronico o cartaceo che conferiscono al possessore il diritto di avere, dagli esercenti convenzionati, la somministrazione di alimenti e bevande o di prodotti di gastronomia pronti al consumo.

Dunque, è un servizio sostitutivo della classica mensa aziendale di valore identico a quello esposto sul buono. In alternativa, i datori di lavoro possono appunto organizzare un servizio di mensa aziendale oppure aderire ad una mensa interaziendale dove i dipendenti possono fare il pasto giornaliero gratuitamente.

Altrimenti, l’impresa può dare al lavoratore in busta paga l’indennità sostitutiva di mensa che diventa parte integrante della retribuzione. L’importo di questa indennità è definito dalla somma giornaliera sancita a titolo di indennizzo per il dipendente che mangia il pasto fuori casa nelle ore di lavoro, moltiplicata per i giorni nei quali il lavoratore è stato in azienda. Così facendo, si ricava l’importo lordo da inserire in busta paga.

Inoltre, il buono pasto non rappresenta un diritto imprescindibile dei lavoratori ed è assegnato solo se previsto da un accordo collettivo o individuale. In assenza di tale accordo, i benefici non possono essere pretesti poiché non sono una parte della retribuzione, ma un beneficio derivante dalle prestazioni welfare. Significa che la legge non impone ai datori di lavoro nessun obbligo sull’emissione dei buoni pasto in quanto la loro erogazione è sempre indicata nel contratto di assunzione o deriva da accordi successivi.

Quali sono le normative di riferimento

Due normative in materia di buoni pasto sono state abrogate nel 2023 e sono state sostituite dal Decreto-legge del 31 marzo 2023 n. 36, il nuovo Codice Appalti. Sono invece rimaste inalterate le normative di riferimento per quel che riguarda la regolamentazione fiscale dei buoni pasto, nonostante siano state modificate le somme deducibili attraverso la Legge di Bilancio. In tal caso, continua a valere l’articolo 51 comma 2 del TUIR e la circolare del Ministero delle Finanze n. 326/1997.

La tassazione dei buoni pasto

Come detto, i buoni pasto garantiscono a datori di lavoro e dipendenti delle agevolazioni fiscali. Infatti, l’articolo 51 del Testo Unico sulle Imposte sui Redditi (TUIR) inserisce tale benefit tra quelli che non concorrono alla formazione del reddito dei lavoratori entro limiti ben definiti. Tali limiti sono spesso modificati dalle Legge di Bilancio.

L’ultima ad avere aggiunto delle modifiche è stata la Legge di Bilancio 2020 che ha deciso un limite di deducibilità di 4 euro per i buoni cartacei e di 8 euro per i buoni elettronici. Entro questi limiti e a patto che questi buoni siano assegnati “alla “generalità dei dipendenti o intere categorie omogenee di essi”, i buoni pasto risultano esentasse anche per i datori che possono portarli in detrazione.

I vantaggi dei buoni pasto per i lavoratori

I dipendenti avranno un maggiore potere d’acquisto per la spesa alimentare o la pausa pranzo rispetto all’indennità in busta paga, soggetta alla tassazione per i redditi da lavoro dipendente e assimilati.

Con i buoni pasto invece i datori possono dare un benefit che non costituisce reddito e non è soggetto a contributi previdenziali e assistenziali, in grado di andare incontro alle necessità del lavoratore e della sua famiglia.

Per fare un esempio concreto, se il datore dà 8 euro in più in busta paga, al dipendente in tasca arrivano 4,92 euro. Questo perché erogando gli 8 euro al giorno sono previsti gli oneri previdenziali e l’IRPEF che variano secondo il CCNL.

Lo stesso importo con il buono pasto cartaceo lascia al lavoratore 6,46 euro, mentre nel caso del buono pasto elettronico il valore sarà più alto, ossia quello facciale di 8 euro.